Mercoledì 28 febbraio, presso il Museo Giannini in via Oberdan a Latina, la Casa dell’Architettura di Latina e il Collettivo Primo Contatto organizzano un incontro dal titolo “L’altra città. Contronarrazioni sul mito dell’accoglienza.”
Si tratta in realtà di una lezione sulla realtà dell’immigrazione a Latina nel corso della sua breve esistenza, già svolta lo scorso agosto in occasione della Summer School organizzata in collaborazione con l’università dell’Herfortdshire. Un incontro che in quell’occasione fu necessario svolgere in lingua inglese e che adesso si intende riproporre in italiano a beneficio di un pubblico più vasto.
“Una città dove gli spazi per gli altri – siano essi gli operai del Nicolosi o i profughi accolti nel Rossi Longhi – sono sempre al di fuori della circonvallazione che, nella forma e nel suo significato di recinto, traccia idealmente delle mura urbane invalicabili, ha evidentemente dell’accoglienza una strana concezione” afferma Pietro Cefaly, direttore scientifico della Casa dell’Architettura.
“Il Collettivo Primo Contatto – aggiunge Carlo Miccio – nasce cinque anni fa per combattere le narrazioni tossiche sui temi della giustizia sociale, e in particolar modo quelli dell’immigrazione. Quando abbiamo letto che Latina si candida come città dell’accoglienza ad importanti competizioni nazionali ci è sembrato che la notizia rientrasse in tutto e per tutto nella categoria delle narrazioni tossiche, cioè deformanti della realtà per scopi altri. Ed essendo stato quello dell’accoglienza uno dei miti decostruiti nel corso dell’incontro con gli studenti britannici della scorsa estate, abbiamo pensato che fosse giunto il momento di riproporre quell’intervento in italiano e a beneficio di chi questa città la abita. Latina città dell’accoglienza è uno slogan che nasce da una convergenza tra un approccio light alla storiografia (che utilizza il ricordo personale in luogo della memoria storica) e interessi politici a riscrivere una storia che è sotto gli occhi di tutti. Ci sono misteri che non riusciamo a spiegarci: come si sia potuti arrivare a considerare degli immigrati i coloni veneti della bonifica, o ritenere il Campo Profughi una storia di accoglienza invece che di segregazione, o ancora l’esaltazione del Nicolosi come modello (nel bene e nel male) multietnico, piuttosto che ricettacolo di esistenze povere e marginali, per noi è un vero e proprio mistero. Mistero che cercheremo di decostruire sulla base del gran numero di ricerche storiche di valore che comunque questa città è riuscita a produrre nel corso degli anni, dai lavori di Oscar Gaspari e Vittorio Cotesta fino a quelli più recenti di Emilio Drudi e Marco Omizzolo. Da dove emerge una triste realtà: che se c’è un filo continuo che unisce le diverse ondate migratorie che hanno popolato Latina, non è certo quello dell’accoglienza ma piuttosto quello dello sfruttamento e del lavoro nero.”