Spesso capita che il datore di lavoro utilizzi strumenti tecnologici per monitorare i propri dipendenti. Tale condotta solleva interrogativi piuttosto rilevanti in merito al rispetto della privacy e dei diritti fondamentali dei lavoratori.
La Suprema Corte, con la recente ordinanza n. 30079 del 21 novembre 2024, ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente sorpreso a falsificare gli orari di lavoro, dedicarsi ad attività personali durante l’orario lavorativo e utilizzare il mezzo aziendale per scopi privati. La Corte ha ritenuto che le violazioni commesse giustificassero un provvedimento disciplinare proporzionato. Tuttavia, il lavoratore ha presentato ricorso, sollevando interrogativi sull’uso delle tecnologie per monitorare il suo comportamento.
Il ricorso si basava principalmente sul fatto che i controlli attuati dall’azienda per accertare le infrazioni fossero eccessivi e invasivi. In particolare, il dipendente era stato sorpreso grazie a una serie di strumenti tecnologici, tra cui il monitoraggio del PC, telecamere, la rilevazione della posizione GPS e l’impiego di un investigatore privato per controllare le sue attività anche fuori dall’orario di lavoro. La difesa ha sostenuto che tale modalità di indagine fosse ingiustificata e lesiva della privacy.
La Cassazione ha quindi definito, con maggiore precisione, le condizioni e i doveri dei datori di lavoro che decidono di implementare controlli difensivi per rilevare condotte illecite dei dipendenti. Questa sentenza rappresenta un punto di riferimento cruciale per stabilire un equilibrio tra le esigenze dell’impresa e la protezione dei diritti dei lavoratori.
In particolare, gli Ermellini hanno posto l’accento sull’obbligo del datore di lavoro di dimostrare non solo la necessità di utilizzare strumenti tecnologici per il controllo, ma anche la conformità di tali pratiche alla normativa vigente. La decisione ribadisce che qualsiasi attività di monitoraggio deve essere fondata su una giustificazione chiara, rispettare i principi di proporzionalità ed essere conforme alle norme sulla protezione dei dati personali. Questo equilibrio costituisce un elemento centrale nella gestione moderna dei rapporti lavorativi.
Secondo la Corte, il datore di lavoro è tenuto innanzitutto a documentare, in modo preciso e dettagliato, le motivazioni che rendono indispensabili i controlli difensivi, la cui finalità dev’essere la salvaguardia del patrimonio aziendale e la prevenzione di comportamenti irregolari. Inoltre, è compito del datore di lavoro garantire che l’adozione di strumenti tecnologici venga eseguita nel rispetto delle normative, con particolare attenzione ai principi di proporzionalità e necessità.
Questa posizione si allinea con quanto previsto dall’art. 4 dello st. lav. e dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), che impongono rigidi limiti all’utilizzo di tecnologie per il controllo dei dipendenti.
La Cassazione, inoltre, fa il punto anche sul ruolo che spetta al giudice. Quest’ultimo infatti dovrà valutare, caso per caso, la legittimità dei controlli difensivi, tenendo conto di due aspetti principali:
- la motivazione specifica che ha giustificato l’adozione delle misure di monitoraggio;
- la proporzionalità tra gli strumenti utilizzati e gli obiettivi prefissati.
La sentenza, quindi, invita i datori di lavoro ad adottare controlli difensivi in maniera rigorosa e trasparente, prestando attenzione ai seguenti punti:
- motivazioni documentate: raccogliere e conservare le ragioni che giustificano l’uso del monitoraggio;
- tecnologie adeguate: scegliere strumenti proporzionati e non invasivi rispetto agli scopi prefissati;
- rispetto delle norme: operare in piena conformità con il GDPR e lo Statuto dei Lavoratori;
- comunicazione preventiva: informare i dipendenti, ove possibile, sull’esistenza e lo scopo dei controlli.
La pronuncia rafforza la tutela dei lavoratori, stabilendo che l’uso delle tecnologie di controllo deve rispondere a esigenze legittime e ben documentate, contribuendo così a prevenire eventuali abusi da parte del datore di lavoro. Questo garantisce che le misure adottate siano compatibili con i diritti fondamentali, come la riservatezza e la dignità personale.